Perchè in Italia sottovalutiamo il deficit dell’attenzione

Gramsci parlava di egemonia culturale: quell’imposizione di un modello di riferimento, ottenuta senza violenza fisica, ma anzi con il tacito accordo del dominato, che porta all’omologazione e all’interiorizzazione degli standard culturali del dominante.
Non c’è dubbio che negli ultimi decenni, sono stati gli Stati Uniti a ricoprire questo ruolo, influenzando le nazioni occidentali e non solo. L’importazione dei più svariati prodotti dell’industria dell’intrattenimento ha portato negli anni all’interiorizzazione di tradizioni e modelli che non ci apparterrebbero. E così capita che il 31 ottobre ti suonino alla porta dei bambini per giocare a “dolcetto o scherzetto?”, che ti invitino a un baby shower o che a un matrimonio ci siano otto damigelle, vestite uguali, col fiore al polso. Tutte banalità innocue, certamente. Quando però l’applicazione dell’esempio americano ci porta a rafforzare le nostre paure ancestrali nei confronti dei farmaci, sottovalutando eventuali malattie, lo scenario è differente. Come nel caso dell’Adhd, il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività.
Patologia studiata in America sin dai primi del Novecento, secondo le stime l’Adhd colpirebbe oggi in media circa il 5% della popolazione mondiale, ed è specialmente diffusa tra i bambini e gli adolescenti. È spesso in comorbità con la dislessia, e si manifesta in difficoltà attentive e organizzative che impediscono al bambino, o all’adolescente, di sedere composto in classe, socializzare con normalità con i coetanei e gestire i rapporti con insegnanti e familiari. Come ci spiega il dottor Margheriti, psicologo e consulente AIDAI (Associazione Italiana Disturbi Attenzione e Iperattività), la mancata diagnosi o una cura erronea del disturbo possono portare a conseguenze molto gravi anche nella vita adulta, tra cui depressione, atteggiamenti antisociali, una maggiore probabilità di incorrere in incidenti e divorzi e a relazioni e vita professionale insoddisfacenti. La dottoressa Maria Nobile – responsabile del servizio di Psicofarmacologia e terapia cognitivo-comportamentale dell’età evolutiva presso il Centro di riferimento regionale per l’Adhd – aggiunge alla lista anche il rischio di abbandono scolastico: ignorare la patologia, dipingendola come un difetto caratteriale del bambino, alla mancanza di disciplina, porta spesso il paziente a rifiutare situazioni, come la scuola, in cui è messo sotto pressione dal punto di vista cognitivo.
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